CRISTIANI NEL MONDO ISLAMICO
1/08 -2008
Caro Dott. Romano:
Ci sono delle difficoltà invisibili agli
occidentali che spingono i cristiani ad emigrare
verso l’occidente. Dieci milioni nel ultimo
secolo! Un dato persino pubblicato da Magdi
Cristiano Allam. Seguo attentamente la sua
rubrica e mi rattrista il fatto che con il suo
linguaggio diplomatico evita il nocciolo del
problema e gli esempi da lei citati non
rispecchiano la realtà. Capisco che i suoi
contatti rimangono ad un certo livello che non
rispecchia la sostanza che verrebbe a galla se
le fosse consentito un contatto con le persone
interessate. La presenza di chiese costruite per
la maggior parte in periodi ante guerra nasconde
l’oppressione sociale e le leggi discriminatorie
vigenti. Una per tutto:
Esiste in Egitto il divieto di edificazione di
templi e chiese, se non dopo aver adempito a 10
condizioni di difficile attuabilità . Un editto
del califfo Omar 639 d.c. regola tutt’ora le
relazioni tra musulmani e cristiani e il
permesso per costruire luoghi di culto
cristiano. Confermato da un decreto del
Ministero degli interni in Egitto nel febraio
1934 che cita le 10 adempimenti per poter
emettere una licenza di edificazione. Riparare
il muro di cinta di una chiesa richiede
l’autorizzazione del Presidente della
Repubblica; però nella maggior parte dei casi i
divieti sono sviati dalla buona volontà dei
preposti locali ma sempre però suscettibili di
ricatti. Il culto religioso deve comunque
rimanere discreto.
Il nocciolo dei contrasti tra l’occidente ed il
mondo islamico, contrasti apparentemente
invisibili agli occhi di un italiano non
avvertito, sono i diritti e doveri dei cittadini
non musulmani in quanto codificati dalla legge
sullo statuto personale. Infatti la fonte divina
della legge coranica, la libertà di scelta
religiosa, l’uguaglianza tra i cittadini e i
diritti della donna sono i punti di contrasto
più eclatanti di tutti i paesi arabi con la
cultura occidentale. Personalmente credo che la
vera rivoluzione culturale del mondo arabo
dovrebbe passare attraverso le donne e che noi
immigrati in occidente abbiamo il dovere di
attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su
questi contrasti invisibili all’occhio nudo.
Dottor Romano, visto la risonanza della sua
rubrica mi auguro che possa al suo rientro
sollevare o meglio mettere in risalto la
situazione dei diritti della persona nel mondo
arabo, non tanto la costruzione delle chiese o
la reciprocità, ma i diritti umani. Grazie.
Giuseppe Samir Eid
p.s.le segnalo un mio articolo sull’argomento
pubblicato da Popoli su POPOLI del Febbraio 2005
riportato qui:
http://www.ildialogo.org/dialogofedi/patriarcaticristiani21022005.htm
La lettera del giorno |Domenica 3 Agosto 2008
I CRISTIANI NELL’ISLAM RESPONSABILITÀ
DELL’ITALIA
L'affermazione che nei Paesi islamici esistono
chiese cristiane può anche essere vera, come è
vero che vi sono vescovi, legati apostolici e
preti. Quello che, però, lei ha tralasciato di
precisare sono le condizioni di vita che i
cristiani in gran parte dei Paesi islamici sono
costretti a subire, in particolare nel Medio
Oriente. Alcuni esempi valgono più di lunghi
discorsi. Ad Aleppo, in Siria, nel breve volgere
di pochi anni i cristiani si sono ridotti a
poche migliaia e, causa il perdurare
dell’attuale oppressione, essi sono destinati a
scomparire. Nel Libano, come dichiarato
dall’attuale Patriarca della Chiesa di quel
Paese, continua incessante l’esodo dei maroniti,
ortodossi e cattolici. I cristiani dell’Iraq
sono continuamente perseguitati e condannati a
morte secondo la sharia, come testimoniano di
continuo i tanti profughi iracheni che vivono in
Italia.
Anche l’Egitto, Paese che passa per progredito,
ha reso difficile la sopravvivenza dei cristiani
copti. Debbono nascondere la loro fede,
altrimenti vengono emarginati e di conseguenza
non possono lavorare per vivere. Questo l’ho
potuto constatare di persona attraverso
testimonianze dirette in un soggiorno a Sharm
el-Sheikh. Potrei continuare sullo stesso
argomento, sempre con fatti e azioni
anticristiani accertati in Iran, Turchia,
Algeria, Pakistan, Sudan e così via. Non sono
l’edificazione di alcune chiese, come si
evidenzia dalla sua risposta, che possono
determinare i Paesi islamici come tolleranti.
Quando queste chiese sono vuote perché
frequentarle può costare la vita, forse è meglio
non costruirle.
Gabriele Murra, Bolzano
Caro
Murra,
non ho detto che i Paesi islamici sono
tolleranti.
Mi sono limitato a spiegare perché il principio
della reciprocità sia difficilmente applicabile
nelle circostanze da me descritte. E ho aggiunto
che un Paese democratico, fondato sulla
tolleranza, non può venire meno ai propri
principi senza tradire se stesso.
Vi sono comunque nella sua lettera argomenti che
suggeriscono qualche riflessione.
E’ certamente vero che i cristiani, in alcuni
Paesi musulmani, sono vittime di trattamenti
ingiusti e privati di alcune fondamentali
libertà.
Ma i casi da lei elencati sono molto eterogenei.
In Siria, qualche mese fa, sono stato molto
favorevolmente colpito da due fattori:
l’ospitalità assicurata dalle autorità siriane
ai profughi iracheni (molti dei quali sono
cristiani) e l’esistenza di un quartiere ad
Aleppo in cui sorgono chiese che rappresentano
tutti i culti cristiani del Levante. In Libano,
recentemente, ho incontrato il Patriarca dei
maroniti, Nasrallah Boutros Sfeir, nel suo
palazzo di Bkirki alle pendici delle colline che
salgono verso il Monte Libano. Da lui ho appreso
che un milione di maroniti ha lasciato il Paese
durante i lunghi anni della guerra civile. Non
sono partiti, tuttavia, perché colpiti da
particolari discriminazioni e persecuzioni.
Se ne sono andati da un Paese in guerra perché,
a differenza di altri gruppi religiosi, potevano
contare sulla solidarietà di una grande diaspora
maronita (circa otto milioni di persone), ormai
felicemente installata in Europa, nelle Americhe
e in Australia.
Le ricordo che in Libano, nonostante la forte
diminuzione della componente cristiana, la
costituzione materiale prevede tuttora che il
presidente della Repubblica (l’ultimo è stato
eletto dal Parlamento due mesi fa) sia maronita.
Il caso iracheno è certamente il più doloroso.
Ho incontrato a Damasco profughi assiri e caldei
che sono stati maltrattati, ricattati, costretti
a scegliere fra l’esilio e la morte. Ma conviene
ricordare che nell’Iraq di Saddam Hussein questi
stessi cristiani potevano liberamente professare
la loro fede ed esercitare le loro attività
economiche. Il dramma delle comunità cristiane
irachene comincia con l’invasione americana del
Paese nella primavera del 2003.
In Egitto i copti rappresentano grosso modo il
6% di una popolazione che comprende 71 milioni
di persone.
Vi sono stati incidenti e scontri sanguinosi con
gruppi dell’islamismo radicale, soprattutto
durante la campagna elettorale per il rinnovo
dall’Assemblea popolare. E il governo è forse
meno liberale nei loro confronti di quanto fosse
in passato. Ma i copti continuano ad avere
posizioni importanti nella società egiziana.
Hanno incarichi di governo, e una grande
famiglia della comunità - i Sawiris - controlla
Orascom Telecom, una delle maggiori imprese di
telecomunicazioni del Mediterraneo.
Un’ultima osservazione. Il criterio della
reciprocità si applica soltanto ai casi in cui
sono in gioco i legittimi interessi degli Stati.
Lo Stato italiano ha il diritto e il dovere di
difendere i propri cittadini all’estero e di
adoperarsi perché non siano oggetto di misure
discriminatorie.
Ma non può occuparsi dei cristiani in quanto
tali se non in nome di principi ideali e
nell’ambito delle eventuali convenzioni
internazionali.
Non è «difensore della fede», «protettore dei
fedeli» o «custode dei luoghi santi». Se si
comportasse come tale sarebbe uno Stato
confessionale, vale a dire una istituzione di
cui molti italiani preferirebbero non essere
cittadini.
Giuseppe Samir Eid