PATRIARCATI CRISTIANI ARABI: QUALE FUTURO?
Orizzonti della
fede - 21/2/2005
Negli ultimi anni l’attenzione dei media sul
Medio Oriente si • soffermata sul conflitto
israelo-palestinese, oppure sugli episodi di
violenza integralista o sulla guerra in Iraq,
tralasciando tragedie umane di enormi
proporzioni che in queste stesse regioni
riguardano la sopravvivenza di diverse comunit‚
cristiane.
Su segnalazione dell’autore, riprendiamo questo
articolo di Giuseppe Samir Eid, pubblicato su
Popoli di febbraio 2005, sulla situazione dei
Patriarcati cristiani arabi che ci sembra molto
interessante ed utile al dibattito per
comprendere meglio la difficile situazione
mediorientale. Da POPOLI FEBBRAIO 2005, pag.
44-45-46
Comunità
dalle radici profonde
Le popolazioni che nei primi secoli del
cristianesimo abitavano il Medio Oriente erano
formate da comunità autoctone e da una forte
componente ellenizzata. La grande importanza di
queste comunità è confermata dal fatto che le
Chiese orientali sono definite con il titolo di
«apostoliche», perchè fondate dagli apostoli.
I primi concili ecumenici riconobbero
l’esistenza di Chiese madri, presiedute da un
patriarca, responsabili della propagazione della
fede cristiana e della nascita di altre Chiese.
L’istituzione patriarcale è comune sia
all’Oriente sia all’Occidente e il vescovo di
Roma, sede patriarcale dell’Occidente, erede
dell’apostolo Pietro, è il patriarca d’Occidente
riconosciuto come primate universale, primo fra
i primi. Le altre sedi patriarcali sono in
oriente, precisamente a: Costantinopoli,
Alessandria d’Egitto, Antiochia e Gerusalemme,
madre di tutte le Chiese e culla della
cristianità.
Il cristianesimo ebbe un immediato e notevole
sviluppo in tutto il Medio Oriente, tanto che il
numero dei cristiani orientali era più numeroso
rispetto a quello degli occidentali. L’Oriente
cristiano, che nell’epoca patristica superava ed
eclissava l’Occidente cristiano, ha subito una
sistematica persecuzione, fisica o morale, e una
progressiva emarginazione nelle aree di
dominazione musulmana. A prescindere da coloro
che negli ultimi anni sono stati costretti a
emigrare, dando origine a una vera e propria
diaspora, gli arabi cristiani rappresentano
circa il 10% della popolazione del Medio
Oriente.
Oltre le
incomprensioni
Nonostante la grande eredità religiosa, la vita
delle comunità cristiane del Medio Oriente è
stata caratterizzata lungo i secoli da un
costante stato di incomprensione. Un
atteggiamento dovuto in parte al comportamento
dei musulmani, che hanno spesso identificato la
Chiesa orientale con i colonizzatori stranieri
di queste aree.
La principale popolazione di rifugiati, nel
Medio Oriente, non sono i palestinesi, vittime
della prima guerra arabo-israeliana del 1948,
nemmeno gli ebrei dei Paesi arabi e dell’Iran,
costretti a un esodo simmetrico tra il 1945 e il
1979, ma i cristiani di cultura araba, aramaica,
armena o greca. Quasi dieci milioni sono stati
indotti dalla prima guerra mondiale a oggi ad
abbandonare le proprie case o a emigrare.
Ancora pia sorprendente: l’esodo dei cristiani
si svolge sotto i nostri occhi nel secolo XXI,
senza suscitare compassione o curiosità
mediatica . Il caso più lampante è quello dei
palestinesi cristiani di Cisgiordania: venti
anni fa formavano il 15% della popolazione
locale; dopo la costituzione di un potere
palestinese autonomo, nel 1994, non sono più del
2 o 3%.
Una situazione analoga si delinea in Egitto,
dove la minoranza cristiana copta, ieri
fiorente, si è un po’alla volta ridotta a
emigrare.
La sfida
dell’Islam radicale
I cristiani hanno potuto essere tollerati dai
poteri musulmani in certe epoche e in certi
luoghi. Quando le circostanze cambiano, questa
tolleranza sparisce. La conquista araba e
successivamente la conquista turca hanno messo
in atto una identica strategia: qualche
operazione militare decisiva permette ai
musulmani di prendere il controllo politico di
una provincia o di uno Stato: il nuovo potere
provoca in seguito divisioni tra i cristiani;
infine il regime della dhimma (protezione)
impone un miscuglio di misure discriminatorie e
di oppressione finanziaria e spinge un po’ alla
volta i cristiani a convertirsi, anche intere
famiglie o comunità. Così un Paese che era
cristiano al 90%, si ritrova a ospitare una
minoranza cristiana ridotta a uno statuto di
secondo piano, costretta a emigrare.
In certi Paesi islamici il fenomeno si accelera
con la crescita di movimenti integralisti o
islamisti all’interno della società musulmana,
che predicano una jihad permanente e
l’esclusione totale dei non musulmani dalle zone
di antica islamizzazione, come il mondo arabo.
In questo momento, non esistendo nei Paesi arabi
la separazione tra Stato e religione, è soltanto
la diversa applicazione delle leggi islamiche a
differenziare l’Islam «radicale» o
«integralista» da quello «moderato». Tutto ciò
in un Islam che, costituzionalmente, dovrebbe
consentire la libertà di culto e di scelta
religiosa, non dovrebbe vietare l’esercizio di
alcune professioni alle donne e ai non
musulmani; un Islam dove dovrebbero vigere
libertà di pensiero, di scelta religiosa, di
uguaglianza di diritti tra i cittadini senza
alcuna discriminazione di sesso o di credo.
La varietà
nella Croce
I cristiani del Medio Oriente, copti in Egitto,
maroniti in Libano, caldei in Irak, armeni in
Turchia, melchiti o ortodossi in Siria, o ancora
palestinesi di Betlemme, conoscono da più di
mezzo secolo un esodo silenzioso cacciati dalle
loro terre a causa della guerra e della
pressione dell’Islam. Il numero dei cristiani
emigrati è andato aumentando negli ultimi anni;
quelli che rimangono nei Paesi arabi sono in
continua diminuzione, soffrono del complesso del
ghetto e vedono un futuro incerto. Al pari del
resto della popolazione, i giovani, per la
difficoltà di trovare un lavoro e per la crisi
degli alloggi, preferiscono formare una famiglia
e crearsi una nuova vita altrove, con la triste
conseguenza di tornare al paese natale solo come
turisti. Vi sono inoltre difficoltà e
impedimenti di vario ordine che non consentono
ai patriarchi orientali cattolici di seguire
nella diaspora i fedeli del proprio rito. Perciò
l’emigrazione dei cristiani può significare la
condanna all’estinzione delle Chiese orientali.
Una panoramica delle singole Chiese può rendere
l’idea di quanto esile sia la presenza cristiana
nel mondo arabo erede dell’impero ottomano.
Arabia Saudita
Il cristianesimo e l’ebraismo sono proibiti nel
regno, col pretesto che la penisola arabica,
terra santa dell’Islam è assimilata a una
moschea. I cristiani non possono celebrare il
loro culto. Il proselitismo comporta, come
minimo, l’espulsione immediata.
Egitto
L’emigrazione non risparmia neppure i copti,
notoriamente poco inclini ad abbandonare le rive
del Nilo. Que ta comunit‚ ha conosciuto una
brillante rinascita nel XIX secolo e all’inizio
del XX ecolo, sotto la monarchia di origine
turca fondata da Mehmet Ali. E a rappresentava a
quel tempo il
15-20% della popolazione. La rivoluzione
nasseriana, a partire dal 1952-1953, le è stata
fatale: i copti sono stati esclusi dalla classe
politica, salvo qualche personalit‚ simbolica,
poi spogliati del loro potere economico.
Sotto Hosni Moubarak, al otere dal 1981, gli
atti di violenza si sono moltiplicati, spingendo
i giovani a emigrare verso la Gran Bretagna,
Canada e Stati Uniti. I copti in Egitto non sono
più del 6-7% di una popolazione com lessiva di
circa a 65 milioni di abitanti.
Iran
Ufficialmente, la popolazione cristiana non
raggiunge lo 0,2%. Alcuni parlano dello 0,5%.
Trattata bene sotto la dinastia Pahlavi, essa
beneficia di na certa tolleranza da parte della
repubblica teocratica istituita da Khomeini nel
1979, e dispone di un deputato nel parlamento.
Ogni atto di proselitismo e le relazioni con le
donne musulmane sono puniti con la morte. La
metà dei cristiani iraniani avrebbero lasciato
il Paese dopo il 1979 per rifugiarsi, in
maggioranza, negli Stati Uniti (California,
soprattutto).
Iraq
I cristiani in Iraq erano quasi il 10% della
popolazione nel 1920 (300mila su 3 milioni di
abitanti), oggi sono il 3% (1 milione su 24
milioni). Uno degli …atti fondatori† del
nazionalismo iracheno fu il massacro, nel 1932,
di parecchi migliaia di assiri cristiani del
Nord del Paese, di lingua aramaica, e
l’espulsione di parecchie decine di migliaia di
sopravissuti. Gli altri cristiani iracheni, in
particolare i caldei cattolici, sono emigrati al
50% o mantengono un atteggiamento di
sottomissione assoluta alla maggioranza
musulmana.
Israele
Unico Stato non arabo e non musulmano del Medio
Oriente, Israele conta oggi 350mila cristiani su
6,5 milioni di abitanti. Oggi si assiste a
un’immigrazione dei palestinesi cristiani di
Cisgiordania in Israele. Le comunità cattoliche
e ortodosse sono state inoltre rinforzate negli
anni ’90, grazie all’arrivo di numerosi
cristiani dell’ex Urss autorizzati a immigrare
in ragione dei legami familiari. La Santa Sede
ha siglato un concordato con Israele nel 1998 e
ha appena creato una diocesi di lingua ebraica.
Palestina
All’inizio del XX secolo i cristiani formavano
quasi un qua to della popolazione
araba-palestinese, un po’ più di 100 mila
persone su un totale di mezzo milione. Nel 1948
probabilmente erano proporz analmente pochi di
più: 300 mila su 1,2 milioni. La creazione nel
1994 dell’Autorit‚ Palestinese, diretta da
Yasser Arafat, ha prodotto la fuga di buona
parte dei cristiani. Alcuni hanno trovano
rifugio in Israele, altri in Europa o Stati
Uniti. A Betlemme, nel 2003 i cristiani erano il
15% degli abitanti, contro il 62% del
1990.
Giordania
Al momento della sua cr azione n l 1923,
l’emirato di Transgiordania non contava che
mezzo milione di abitanti, di cui qualche
migliaio di beduini cristiani. Oggi i cristiani
sono il 10% circa della popolazione totale di 5
milioni.
Libano
Nel 1932, 800mila cristiani formavano il 55% di
una popolazione libanese stimata di 1,5 milioni
di persone. Oggi, dopo diverse turbolenze e
oprattutto dopo la lunga guerra civile della
fine del XX secolo (1975-1990), i cri tiani sono
1,5 milioni, un terzo della popolazione. Più
della metà sono dei …rifugiati interni †,
cacciati dalla loro città o villaggio d’origine
e costretti a reinserirsi nelle ultime
roccaforti a maggioranza cristiana, come la
periferia Est di Beirut. Una diaspora libanese
cristiana si è costituita in Europa, Stati
Uniti, America del Sud, Africa subsahariana,
Australia. In totale essa conterebbe 6 milioni
di persone, di cui 2 milioni negli Stati Uniti.
Paesi del Golfo, Yemen
I cittadini non possono praticare un’altra
religione diversa dall’Islam; le minoranze,
prima numerose, sono state progressivamente
espulse.
Siria
Le comunità cristiane (greco-ortodosse,
melchite, armene, aramaiche) formavano un quarto
della popolazione siriana all’inizio del XX
secolo. Esse rappresentano ancora il 7% della
popolazione attuale: 1,5 milioni su 20 milioni.
Questa relativa sopravvivenza si spiega per le
particolarità della politica locale: il regime
Assad, dal 1970, si appoggia sulla minoranza
musulmana alauita che ha stretto alleanza con le
altre minoranze del Paese. Pertanto, i cristiani
non hanno cessato d’interrogarsi sull’avvenire,
di emigrare alla prima occasione.
Turchia
La Turchia ottomana aveva intrapreso nel 1915
l’eliminazione della minoranza cristiana armena
dell’Anatolia orientale (un milione e mezzo i
persone). Le discriminazioni degli anni ’40 poi
una serie di pogrom all’inizio degli anni ’50
produssero partenze di massa. Ora in Turchia non
rimangono che 100mila cristiani.
Giuseppe Samir Eid