In nome di Dio: pace o guerra?
Realtà Nuova n° 5 settembre/ottobre-novembre/dicembre 2004
Tutti sappiamo che nella parola Islam vi
è la radice
della parola pace e ricordiamo come Gesù ha
presentato ai suoi la prima missione loro affidata:
“In qualunque casa voi entriate dite innanzi tutto:
pace in questa casa”. La parola pace nel Corano ‚
uno dei novantanove più bei nomi di Dio.
Al salam aleikom, la pace sia con voi: wa aleikum el
salam wa rahmat ilah wa barakatu, e con voi sia la
pace, la Misericordia di Dio e la sua benedizione,
termine usato più volte nella giornata da qualunque
arabo. Un augurio di pace che fa parte del ritmo
quotidiano della vita del mondo arabo. Un Augurio
obbligato nelle relazioni tra musulmani ma se viene
e presso da un cristiano ad un musulmano, spesso non
viene ricambiata la frase di pace per intero, dal
musulmano al cristiano.
Nel 1956 ero arruolato nella milizia egiziana per
difendere il mio Paese contro l'aggressione
tripartita anglo-franco-israeliana dopo la
nazionalizzazione del Canale di Suez. Durante questa
guerra abbiamo avuto il Primo martire per la patria:
un cristiano egiziano si è lanciato con un piccolo
sommergibile individuale facendo saltare una nave.
L'ha fatto p r spirito di patriottismo e non come
martire di Dio, non usando il nome del Creatore per
un atto di guerra.
L'utilizzo della religione islamica per atti di
guerra si ‚ esteso dopo l'avvento dei petrodollari.
La religione è stata utilizzata come baluardo per
frenare l'espansione del comunismo nei Paesi arabi.
L'Arabia Saudita, molto arricchita dopo la crisi del
petrolio del 1973, ha utilizzato gran parte delle
sue risorse per espandere il suo Islam wahabita, il
più rigido e fondamentalista.
L'espansione a nome dell'Islam e dell'applicazione
integrale della sharia, si ‚ fatta per primo nel
mondo arabo, formando insegnanti di lingua araba e
poi inviandoli in tutti i Paesi arabi ed islamici
considerati tiepidamente islamici, poi ai milioni di
emigrati che erano andati a lavorare nei Paesi del
Golfo, poi successivamente al mondo intero,
finanziando migliaia di moschee, centri di
preghiere, università, propagando l'Islam wahabita.
Oltre ad utilizzare tutti i mezzi a disposizione
della moderna tecnologia, la propaganda ha inondato
i mercati, anche quelli occidentali, di cassette e
video con prediche che rasentano il vilipendio e,
sempre in nome dell'Islam, incoraggiando il
disprezzo e la violenza contro i non musulmani.
Sappiamo quanto pericolosa può essere la parola, può
incendiare i cuori e provocare più danni di una
guerra con i cannoni. La predica violenta semina
odio e può essere considerata un atto di guerra come
al contrario può rasserenare i cuori e portare pace.
Oggigiorno, dall'Arabia Saudita vengono diffusi via
internet le prediche dei leader religiosi arabi più
influenti a disposizione dei predicatori sparsi per
il mondo che se ne possono se vi e per i loro
sermoni.
Quando parliamo della legge dell'Islam mi riferirò
alla sharia, (termine che comprende il Corano e gli
atti del Profeta Muhammad “Hadith”. Tra il secolo
VII e il X gli uomini di legge danno al mondo
musulmano un corpo legislativo che si richiama al
Corano ed agli atti del Profeta. Dopo il secolo X i
legislatori si limitano ad applicare i principi di
una delle 4 scuole di appartenenza chiudendo così le
porte dell'Igtihad, sforzo dottrinale che completa
la sharia e la dottrina si cristallizza).
Quando si
parla di pace n l Corano ‚ necessario tenere
presente
che il diritto musulmano rende in considerazione il
mondo come diviso in due parti: Dar al Islam o
Dimora dell'Islam (Paesi dove l'Islam ‚
predominante) e, in contrapposto, Dar el Harb o
Dimora della Guerra, che r legge ‚ da conquistare a
poco a poco e da assoggettare all'Islam.
Ma vediamo come la massima autorità religiosa del
mondo arabo, la “Al-Azhar's I lamic Research
Academy” (IRA), definisce la guerra o la pace.
Segnalo quanto ha dichiarato questa autorità il 10
marzo 2003: “In base alla legge islamica, se il
nemico mette piedi sulla terra dei musulmani, jihad
diventa un dovere religioso per ogni musulmano
maschio o femmina”. La dichiarazione si ‚ appellata
agli arabi e musulmani di tutto il mondo, di fare
battaglia per difendere la loro terra, l'onore e la
nazione. Poi, aggiunge: “E’ un obbligo religioso di
aiutare il popolo iracheno contro l'aggressione
facendo divieto ai Governi arabi o islamici di
fornire assistenza alle forze straniere invasori
dell'Iraq”. E: “la maggioranza della popolazione
crede che l'obiettivo principale dell'aggressione
alla nazione araba ed a quelle islamiche ‚ la nostra
fede, in quanto l'Islam ‚ percepito come l'ostacolo
principale per impedire d'imbrigliare la nazione
araba”. Una dichiarazione percepita simile ad un
ipotetico appello del Papa a tutti i cattolici per
difendere la fede attraverso una Guerra giusta.
L'appello alla guerra santa, Jihad, ‚ fatto dai
leader religiosi nonostante che i Governi arabi non
forniscano assistenza militare all'Iraq.
Al termine del summit tenutosi a Beirut nel gennaio
del 2002 ed a cui hanno partecipato oltre 200 ulema
sunniti e sciiti provenienti a 35 Paesi, il
comunicato finale emesso dichiarava: “A partire
dalle loro responsabilità religiose, ed in nome di
tutti i popoli, riti e Paesi della nazione islamica,
le azioni di martirio dei mujàhidìn sono legittime
e trovano fondamento nel Corano e nella tradizione
del Profeta. Rappresentano anzi il martirio più
sublime dato che i mujàhidìn le compiono con totale
coscienza e libera decisione”. Questa visione non si
limita peraltro alla legittimazione delle azioni
messe in atto dai kamikaze, ma investe anche il
campo dell'educazione: molti libri che circolano
nelle scuole della Palestina e nei quali viene
insegnato ai giovani l'obbligo della Jihad in tutte
le sue forme e si legittimano le gesta di coloro che
vengono chiamati “martiri dell'Islam”, spiegando che
non vanno considerati come suicidi ma come eroi e
che sono d stinati al Paradiso perchè hanno fatto
una vera jihad. Insomma, non si sono comportati in
maniera difforme dal Corano, ma si sono sacrificati
per la causa islamica. In Palestina, dove la guerra
‚ una lotta per l'indipendenza nazionale dei
palestinesi dall'occupazione israeliana, i Paesi
musulmani insistono sulla dimensione religiosa e la
trasformano in una guerra di religione, in una Jihad
per la liberazione di quella terra.
E’ un altro esempio dell'ambiguità di fondo a chi
non riesce a distinguere la fede dalla politica.
Prima di parlare di pace nel Corano vorrei fare un
accenno alla Jihad, termine che ritroviamo spesso
nel Corano: guerra santa o lotta spirituale verso la
pace nel cuore?
La parola significa lo sforzo sul cammino di Dio per
far prevalere i diritti di Dio sulla terra. La
tradizione islamica distingue molti modi per
esercitare questo sforzo, privilegiando l'uno o
l'altro secondo le epoche. Il più comune‚ quello di
diffondere l'Islam nel mondo intero; ha una
vocazione universale. La diffusione avviene
attraverso le prediche e le missioni. Quando un
popolo si rifiuta bisogna far s… che si apra
all'Islam. Occorre inoltre difendere i territori
divenuti musulmani. Nei due casi la Jihad assume una
forma militare di “guerra santa”. I giuristi
ritengono che sia un obbligo comunitario sotto la
responsabilità del capo dello stato. Diventa un
obbligo personale in caso di necessità. Non deve
esistere tra musulmani. I non musulmani sono
“protetti” una volta integrati nel mondo musulmano.
La forma di Jihad che i mistici ed i moralisti
preferiscono ‚ però quella che si svolge nell'anima
del credente. Una guerra tra fratelli di fede ‚
illecita ed inconcepibile in termini giuridici
islamici. Per questo motivo, se un leader musulmano
ha intenzione di muovere guerra ad un Paese
musulmano, deve prima dichiarare questo Paese
miscredente, ateo, in arabo kàfir. Dichiarando
l'altro kàfir, la dichiarazione di guerra diventa
legittima ed inevitabile , perché viene condotta
contro i miscredenti.
Per esempio nel conflitto Iran-Iraq, che ha causato
un milione di morti, oppure nella guerra del Golfo.
Ciascuna fazione ha dichiarato l'altra kàfir,
proclamandosi paladina dell'Islam emettendo sulla
propria bandiera, laddove non c'erano prima, i
simboli islamici. L'Iraq, un Paese che si definisce
laico, ha così inserito nel suo vessillo nazionale
le parole Allàh-u Akbar, Dio ‚ il più grande,
evidenziando una motivazione religiosa per attaccare
l'avversario in nome di Dio. Immaginatevi il
travaglio del soldato iracheno cristiano che si
trova a combattere p r la guerra santa dell'Islam!
Una pressione religiosa e sociale che incita a
cambiare religione o ad emigrare verso l'Occidente.
Il concetto di comunità islamica (umma) prevale su
quello di cittadinanza (watan). Una conferma di
questo atteggiamento ‚ venuta anche in occasione del
recente conflitto in Afghanistan. Lo stesso vale p r
il Kosovo, la Cecenia, l'Afghanistan, le Filippine,
le Molucche ed ovunque i musulmani siano in guerra,
dove vediamo gruppi armati arrivare da diversi Paesi
musulmani per combattere la Jihad contro i nemici
dell'Islam (che sovente sono dei cristiani): si
fanno chiamare mujàhidin ed operano in vari Paesi
per fomentare rivoluzioni o sostenere ribelli e
movimenti di liberazione nazionale con l'obiettivo
dichiarato di difendere l'Islam minacciato dagli
“infedeli”.
L'abbiamo riscontrato nella guerra civile del Libano
quando volontari arrivati da Libia, Algeria ed Iran
sono affluiti a fianco del partito di Dio contro la
parte cristiana della popolazione. L'Occidente non
rimane indenne di questo movimento, in quanto
vediamo cittadini occidentali musulmani, convertiti
o no, che sono affluiti in Iraq ed in Afghanistan
per combattere a fianco del fratello musulmano,
certe
volte
contro il loro stesso Paese.
E’ qui che emerge con chiarezza che l'obiettivo di
combattere la guerra santa per l'Islam prevale sulla
motivazione politico-nazionale a livello
internazionale. L'interpretazione “bellica”
dell'Islam fatta da una parte dei gruppi musulmani
più rumorosi ‚ autentica ma però non esclusiva.
Una prima avvisaglia l'aveva lanciata il cardinale
Martini: “L'Islam non ‚ solo fede personale, bensì
realtà comunitaria molto compatta ed una parola
d'ordine lanciata da qualche voce autorevole al
momento opportuno può ricompattare e ricondurre ad
unità serrata anche i soggettivismi o i sincretismi
religiosi vissuti da un singolo individuo”.
La violenza ha fatto parte dell'Islam nascente. Ma
il problema ‚ che, oggi, i gruppi musulmani più
agguerriti continuano ad adottare quel modello.
Dicono: “Anche noi dobbiamo portare all'Islam i non
musulmani come ha fatto il Profeta, con la guerra e
la violenza”, e
fondano
queste affermazioni su alcuni versetti del Corano.
Quando gli eserciti musulmani sono partiti alla
conquista del Medio Oriente e di vaste aree
dell'Asia e dell'Africa , dovevano anzitutto
assicurarsi il controllo delle terre conquistate e,
solo successivamente, pensare a convertire le loro
popolazioni. Dunque, se ‚ vero che nella maggior
parte dei casi i musulmani non hanno costretto con
la forza le popolazioni a convertirsi all'Islam, le
pressioni continue, sia economiche sia sociali,
hanno spinto la maggioranza di queste popolazioni a
diventare musulmane per sfuggire alle imposte con
cui i musulmani alimentavano nuove guerre e
conquiste. L'occupazione dell'Egitto, ad esempio, ‚
avvenuta in mani rappacifica, nel senso che gli
egiziani si sono arresi accettando di versare ai
musulmani la tassa pro capite, la jizya, e quella
sul terreno, il kharàj.
Queste
imposte, sempre più gravose, hanno fatto sì che
molti
egiziani cristiani passassero all'Islam. E lo stesso
vale per molti altri Paesi del Medio Oriente. Eppure
il Corano dice che non ci deve essere costrizione in
materia di fede (“Non vi sia costrizione nella
religione! La retta via ben si distingue
dall'errore. Chi rinnega gli idoli e crede in Dio
afferra un'impugnatura saldissima che mai si spezza:
Dio ascolta e sa ogni cosa! Dio ‚ il patrono di
quelli che credono: ‚ Lui che li fa uscire dalle
tenebre alla luce; ma i patroni di quelli che non
credono sono gli idoli, che li fanno uscire dalla
luce alle tenebre. I miscredenti finiranno nel fuoco
e vi resteranno per sempre”; 2, 256-7).
Nel Corano si trovano sia dei versetti che sono in
favore della tolleranza religiosa, (non
uguaglianza), sia altri che sono apertamente
contrari a questa tolleranza. Esistono due letture
del Corano e della sunna, due scelte diverse, l'una
aggressiva e l'altra pacifica, ambedue accettabili.
Ci vorrebbe un'autorità, unanimemente riconosciuta
dai musulmani, che possa dire: d'ora in poi, solo
questo versetto ha valore. Ma questo non accade.
La pace ‚ un bene prezioso: ‚ la condizione di un
Paese che non sia sconvolto da guerre civili, privo
di conflitti e tensioni tra le diverse classi
sociali, armonia, uguaglianza dei cittadini davanti
alla legge. † vero che dove l'Islam ‚ presente non
possiamo parlare di società senza incontrare la
dimensione religiosa e, inversamente , non possiamo
affermare nulla dell'Islam senza stabili e un
collegamento con la società in cui vive e si evolve.
Visto questa premessa, mi chiedo se la legge
islamica di un Paese possa garantire la pace ai suoi
cittadini, oppure lei stessa ‚ fonte di odio e
dissapori? I cardini della sharia sono: la fonte
divina della legge coranica, la non libertà di
scelta religiosa, la non uguaglianza tra i cittadini
ed i diritti della donna dimezzati rispetto
all'uomo. Questa legge religiosa islamica condiziona
la vita del Paese, delle famiglie, delle persone e,
dunque, permea i Paesi islamici ed i centri islamici
(in Italia o altrove) dove gli immigrati arabi
musulmani si aggregano. La situazione giuridica del
cristiano, e in qualche modo anche della donna, ‚
critica nei Paesi soggetti alla sharia, e non porta
pace, (Egitto, Sudan, Libano…) a meno che tutta la
popolazione abbia interamente abbracciato l'Islam
(Libia, Paesi del Magreb, Afghanistan) oppure che
non esistano delle minoranze. Vorrei concludere con
una nota positiva per le anime di buona volontà,
musulmani cristiani. Per noi cristiani, l'Islam ha
una sua grandezza che merita di essere conosciuta
per se stessa, senza il confronto con il
Cristianesimo con il quale, dobbiamo ammetterlo,
esistono anche dei nodi critici, non superati e che
sono stati evidenziati. Purtroppo l'immagine che
l'Islam ufficiale dà oggi di sè,
contraddittoria ed i media non danno risalto a
questa spiritualità. Sembra prestare maggiore
attenzione a questioni che hanno radici di costume e
di tradizioni piuttosto che religiose (il velo,
coprire il corpo della donna, la discriminazione tra
i sessi) e non alla dimensione interiore della
persona. Dei 6236 versetti del Corano, soltanto il
3% si occupa del diritto e delle questioni penali,
mentre la quasi totalità di esso tratta della fede e
della morale. “Il male va respinto con un bene più
grande. Respingi il male con un bene più
grande, e chi ti era nemico diventerà intimo amico”
(41, v. 34).
Per noi cristiani i musulmani sono anzitutto dei
credenti. Al di là delle incomprensioni e dei
pregiudizi, ogni credente ‚ chiamato a coltivare i
valori essenziali dell'altro e ad avventurarsi sul
sentiero dell'arricchimento reciproco, con il
rispetto reciproco. Dall'Islam in Europa ci si può
attendere un rilancio spirituale fondato sui valori
contenuti nel messaggio coranico. “Bisognerebbe
esaltare i valori di preghiera, di silenzio e di
meditazione, affinchè tutti ascoltino Dio ed
imparino così ad ascoltare meglio i loro
interlocutori. La fratellanza in Dio aprirebbe la
strada alla fratellanza degli uomini”, Maurice
Boormans.
“Così facendo, cristiani e musulmani si rendono
capaci di superare gli stretti limiti delle loro
appartenenze comunità e, per interrogarsi sul valore
delle diverse famiglie religiose, alla luce dei
decreti insondabili del Dio salvatore” (op. cit.,
pag. 149).
Azioni che musulmani e cristiani potrebbero
intraprendere insieme per la pace:
1.
testimoniare insieme la fede nell'unico Dio. Aiutare
i singoli musulmani a riscoprire i valori spirituali
dell'Islam. Infatti, i singoli cittadini musulmani,
vanno aiutati ad intraprendere questo cammino.
2.
La sfida del futuro sta nel saper dare una risposta
comune ai problemi del XXI secolo, oltre a preparare
le nuove generazioni alla convivenza multi-etnica
religiosa e culturale a partire dall'esperienza
degli arabi cristiani: “Colmare il fossato che
ancora oggi separa culturalmente le due rive del
Mediterraneo e che le differenze si trasformino,
finalmente, in strumenti di reciproco
arricchimento”.
3.
Mettere in luce, oltre alle differenze, anche i
valori comuni.
4.
I musulmani in Italia vanno aiutati a prendere
coscienza della libertà religiosa consentita dalla
legge in Italia e potrebbero diventare il perno per
favorire i diritti dell'uomo e la libertà religiosa
nel loro Paese di origine? Con ricadute positive per
i cristiani arabi.
5.
Infine, chi sa se in futuro non potremo scoprire un
Islam italiano depurato dalle norme discriminanti,
attraverso un lavoro di riflessione in Occidente?
“Esiste un popolo”, diceva Louis Massignon, “che
nessuno veramente ama, perchè nessuno veramente
conosce, e che nessuno veramente conosce, perchè
nessuno veramente ama, e questo
popolo ‚ il popolo musulmano. Sento il dovere di
dedicare tutta la mia vita per farlo conoscere e
amare dai cristiani”.
Ma come possiamo modernizzare il mondo arabo? Cerco
di sintetizzare.
L'azione potrebbe essere indirizzata verso diverse
piste:
In
Europa:
o verso i
predicatori musulmani,
o verso i
musulmani stessi immigrati in Italia,
o verso
gli europei,
o verso
le istituzioni.
Nei Paesi
arabi:
o la
donna e lo sviluppo umano,
o a
livello politico,
o a
livello delle organizzazioni internazionali,
o arabi
cristiani: usufruire della loro esperienza
illenaria.
IN EUROPA
1. Verso
i predicatori musulmani.
Per avere
una risposta ‚ necessario chiedere agli Imam (coloro
che guidano la preghiera nelle moschee),
specialmente quelli non nati in Italia, di
manifestare con chiarezza la disponibilità
all'integrazione e la lealtà alla società in cui si
vive, altrimenti si permane in una pericolosa
ambiguità. Su questo punto ‚ auspicabile un dialogo
serio e costruttivo per prendere coscienza dei
problemi che l'immigrazione musulmana pone. Il
dialogo dovrà riguardare l'integrazione degli
islamici nel tessuto delle società europee, cos…
radicalmente diverse dall'Islam per mentalità, per
costumi e per valori e la possibilità di una
convivenza civile e serena tra italiani e musulmani.
Tanto più che dietro l'immigrazione islamica ci sono
spesso Stati islamici che intendono servirsene per
interessi politico-religiosi.
2. Verso
i musulmani stessi immigrati in Italia.
“Dobbiamo adoperarci affinché i musulmani riescano a
chiarire ed a cogliere il significato ed il valore
della distinzione tra religione e società, fede e
civiltà, Islam politico e fede musulmana, mostrando
che si possano vivere le esigenze di una religiosità
personale e comunitaria in una società democratica e
laica dove il pluralismo religioso viene rispettato
e dove si stabilisce un clima di mutuo rispetto, di
accoglienza e di dialogo”. (Cardinale Martini, “Noi
e l'Islam”)
3. Verso
gli europei.
“Il rapporto fra Islam e Cristianesimo nel Medio
Oriente indica alcuni nodi critici relativi alla
questione delle minoranze culturali e religiose,
nodi di grande importanza anche per comprendere e
gestire la presenza dei musulmani nei Paesi
europei”. (Fondazione Agnelli)
4. Verso
le istituzioni.
Portare la nostra attenzione alla convivenza all'
interno delle nostre città, mirata a prevenire che
le differenze possano trasformarsi in violenza da
parte delle fasce più povere ed e arginate. Una
volta accertata la volontà di realizzare questo
sogno occorrerà creare una task force per sviluppare
le strategie da dottare e studiare le azioni da
intraprendere.
VERSO I
PAESI ARABI
1. La
donna e lo sviluppo umano.
Si deve partire dall'azione sociale e dalla
testimonianza, la promozione dei valori umani ‚ la
sola base per creare una società multietnica e
plurireligiosa. Irradiare l'amore di Cristo
attraverso la testimonianza della vita, della
solidarietà e dell'accoglienza. In questo
itinerario, “la donna assume un ruolo di primo piano
insieme alla formazione umana per riflettere
insieme, musulmani e cristiani, su una carta etica
comune per cambiare i pregiudizi reciproci”. La
sfida del futuro per la Chiesa e l'Islam sarà
soprattutto culturale.
2. A
livello politico.
Obbiettivo: sviluppo economico e diritti umani. Cosa
possono fare gli Stati per instaurare la convivenza
tra le due rive del Mediterraneo finora separate
culturalmente:
2-1 il rilancio economico, culturale e sociale di
Paesi estremamente bisognosi di interscambi e
tecnologie occidentali; pretendere a livello
governativo l'applicazione nel mondo arabo di un
processo di
liberalizzazione verso il riconoscimento dei diritti
umani.
2-2 Sostenere concretamente coloro che lottano
contro l'integralismo, contro ogni forma di violenza
e per l'uguaglianza fra i cittadini; sostegno ad
applicare i diritti umani, cittadini diversi ma
uguali di fronte alla legge; la libertà di culto e
di coscienza, distinzione fra un ordine
socio-economico moderno ed una prospettiva
religiosa, ponendo così fine all'equivoco che porta
ad identificare l'Occidente col Cristianesimo.
3.
A livello delle organizzazioni internazionali.
L'attenzione delle organizzazioni internazionali ‚
portata principalmente allo sviluppo economico di
Paesi lontani e poco
interesse ‚ stato dato finora alla convivenza tra
popoli, alla reciproca conoscenza e riscoperta dei
valori di ciascuna etnia all'interno delle nostre
città. Portare la nostra attenzione alla convivenza
all'interno delle nostre città, irata a prevenire
che le differenze possano trasformarsi in violenza
da parte delle fasce più povere ed emarginate. Una
volta accertata la volontà di realizzare questo
sogno occorrerà creare una task-force per sviluppare
le strategie da adottare e studiare le azioni da
intraprendere.
4.
Arabi cristiani: usufruire della loro esperienza
millenaria (Fondazione Agnelli).
Il rapporto fra Islam e Cristianesimo nel Medio
Oriente, indica alcuni nodi critici relativi alla
questione delle minoranze culturali e religiose,
nodi di grande importanza anche per comprendere e
gestire la presenza d i musulmani nei Paesi europei.
Commento di Pietro Castagnoli Direttore della
Rivista:
Le proposte operative di Samir Eid meritano
attenzione ed approfondimenti da parte di tutti i
rotariani europei.