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Velo islamico

 

Fax - 24/02 - 2002

 

A : Paolo Mieli
DA : G. Eid
Numero di pagine:1

OGGETTO: velo islamico

La sua conclusione, forzatamente sbrigativa, potrebbe sembrare disinformativa verso il largo pubblico che la stima.

L’Egitto, all’atto della acquisizione della sua indipendenza nel 1922, ha avuto eletto il primo parlamento della sua storia, e la signora Hoda Shaaraoui, prima donna ad entrare nel primo parlamento eletto, ha gettato in pubblico il “velo” che portava. ( sua nipote si trova a milano).
Agli occhi degli uomini questo velo significava sottomissione della donna, proprietà da nascondere agli occhi degli estranei, patrimonio assoggettato al marito, segno esterno della sua purezza di cuore, con l’ansia della separazione tra i sessi che può portare sino alla chiusura della donna.
Una prigionia creata da secoli di pressione sociale, di consuetudine che poco hanno a che vedere con i dettami del corano del VII secolo.

Sino agli anni settanta, e più precisamente alla crisi del petrolio e all’apparizione dei petrodollari, il velo o piuttosto il foulard, era portato dal ceto sociale medio basso e nelle campagne, ed era sparito da tutte le città arabe del medio oriente. Nelle città e nelle università è riapparso con il rifiorire della corrente dei Fratelli Musulmani. Auto dichiaratosi Guardiani dell’Integralità della Fede, hanno mirato al potere strumentalizzando l’applicazione della parola di DIO. Hanno messo avanti divieti e permessi a nome dell’islam, che è anzitutto una via all’invito alla conversione interiore.Con bande organizzate imponevano con tutti i mezzi alle studentesse universitarie il vestiario cosi detto arabo islamico: i mezzi andavano dalla persuasione alla violenza, dalle minacce ai sussidi finanziari. Lo stesso fenomeno si era propagato nei quartieri popolari, una popolazione che era formata in larga misura dall’invasione dalle campagne.

Sappiamo che l’immigrazione degli arabi in Europa proviene in larghissima misura da ceti sociali poveri, e di scarsa cultura e alfabetizzazione, soggetti più esposti alla manipolazione culturale da parte delle centrali musulmani ufficiali che mirano ad accentuare la visibilità islamica, con il pericolo di autoghetizzarsi e di intralciare l’integrazione delle giovane emigrate. Il tutto con l’appoggio di certe nostre minoranze molto rumorose ben connotate sotto l’aspetto religioso e sociopolitico.

La problematica del velo s’inserisce in questa cornice: Per secoli intere società islamiche non si sono preoccupate di “vestire” la donna, e non erano meno religiose di adesso. Oggi alcuni correnti islamiche portano avanti la copertura del corpo della donna quale messaggio essenziale del’islam.
Le altre proibizioni propinate dalla maggioranza dei centri islamici in italia, guidate da personaggi arabi, non certo inclini verso la cultura del paese ospitante, sotto la copertura del dettame religioso, sono numerose anche se meno vistose, ne citerò alcune:
• la donna non può salutare un uomo con la mano senza permesso del marito.
• la donna non può fare attività sportiva, andare in piscina, insieme a uomini
• la donna non può viaggiare liberamente
• figlio non può studiare musica a scuola
sino a pretendere compartimenti separati per le donne nei trasporti pubblici, norma introdotta in alcuni paesi arabi soltanto nell’ultimo decennio.
Tutto questo ci riconduce a voler prendere come esempio di vita, la società dell’arabia saudita. Che si voglia colonizzare l’Europa sfruttando le sue libertà?

Tenga presente che persino nei paesi arabi il velo non è ammesso nelle scuole dove è prescritto l’uniforme, e quanto alle affermazioni su I diritti del ‘uomo come affermato da Rose el youssef, devo dirle che la sharia è un ordinamento razzista in tutti I sensi, e questa verità andrebbe diffusa per il bene dei musulmani stessi in Italia.

Comunque non si può neanche generalizzare; l’islam come vissuto è estremamente variegato nei paesi arabi però in italia prevale l’ala rigorista, il che non aiuta certo le giovane generazioni a convivere. Lo stesso per la definizione del velo: sotto lo stesso nome sono assimilati I veli più disparati, da un semplice foulard sino a quello simile alla foto sul corriere. Inoltre, il popolo musulmano va visto distintamente dai centri che si autoproclamano loro rappresentanti.

Dott. Mieli:
se lei ha avuto la pazienza di leggermi, la prego di valutare di pubblicare il senso della mia lettera a beneficio dei suoi lettori, e ciascuno in piena libertà, tirerà le sue conclusioni.

Un lettore affezionato
Giuseppe samir fadllallah Eid


2005 - Velo islamico?
Obbligo religioso solo nell’immaginario di certi intellettuali occidentali.

Nonostante le pressioni di personaggi che ignorano il mondo arabo e il suo modo di pensare, il “velo islamico” non fa parte della cultura del mondo arabo mediterraneo.
E’ chiaro l'intento di forze esterne, appoggiate da politici, di voler creare ghetto culturali e comportamentali all'interno dello Stato italiano. Da non permettere che i cosiddetti detentori della verità si ergono in difesa della "religione" coinvolgendo certi nostri intellettuali, che spero ingenui ed ignari, facendoli complici delle costrizioni sulla donna quale mezzo di pressione da parte di un’ideologia totalitaria.
Prendendo come esempio l’Egitto, paese di origine della donna egiziana citata da Magdi Allam, questo paese può essere considerato erede di tante civiltà ricordando Alessandria faro della cultura e dello splendore sino alla conquista da parte dell’islam arabo nel secolo VII. Durante il dominio arabo l’università dell’Azhar al Cairo fondata nel decimo secolo, era diventata uno dei principali punti di riferimento religioso e non solo, per i musulmani. Con l’arrivo dei Mammelucchi, secolo XIII, le comunicazioni con il mondo occidentale furono pressoché nulle e il paese cadde nell’oblio. All’arrivo di Napoleone il paese contava soltanto due milioni di abitanti di cui il 95% erano contadini, fellahin, con le donne che partecipavano ai lavori della terra e non si coprivano la faccia. Il secolo successivo ha visto una grande emancipazione delle donne egiziane al punto che nel 1923 con l’elezione della prima donna al parlamento egiziano, il foulard copri testa, e non copri capelli e testa, né copri viso, non viene più portato dalle nuove generazioni lequali non sono meno musulmane e fedeli al corano di quelle di oggi. Una consuetudine, quella di coprirsi la testa e capelli, viso escluso, che è subentrata soltanto negli ultimi trent’anni dietro pressioni morali, fisiche, sociali e finanziarie che vanno sino a proibire, sempre in nome della religione, alla donna di uscire di casa senza il permesso dell’uomo. E questo che vogliamo in Italia per i nostri figli? Chi vuole farsi complice di queste costrizioni?
 

Giuseppe Samir Eid

 

Samir Eid Raccolte

Intendono fornire gli strumenti per una inclusione sociale del flusso migratorio, gettare una luce sui diritti umani e la condizione di vita dei cristiani nel mondo islamico da cui proviene l'autore.La conoscenza dell’altro, delle diversità culturali e religiose sono ingredienti primari per creare la pace nei cuori degli uomini ovunque, premessa per una serena convivenza e convinta cittadinanza sul territorio.