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Europa, la paura dei
musulmani nasce da quell'identità che non c'è più
Corriere - Idee & opinioni - 2/12 - 2009
Cara Giulia, ti
fornisco alcuni elementi per formarti un parere.
IDENTITA'
L'IMMIGRATO MUSULMANO DEL NORD AFRICA
Il fatto che gli immigrati clandestini siano in maggior numero
musulmani provenienti dall'Africa del Nord e abbiano le
caratteristiche sopraelencate, non va trascurato, perché essi
portano con sé un livello culturale e un insieme di tradizioni e
di abitudini che, oltre ad essere molto diversi dai nostri,
costituiscono una sorta di occhiali attraverso i quali, almeno
in prima istanza, vedono e giudicano la società occidentale.
Questa differenza di livello culturale si esprime già
nell'impatto con le forme di organizzazione politica dei nostri
stati. Infatti tutti i paesi arabi a maggioranza musulmana sono
governati attraverso sistemi che non sono assolutamente
paragonabili alle democrazie europee.
Perciò quando i giovani musulmani approdano in Europa, il
contatto con una mentalità per loro completamente nuova li porta
a subire un forte shock psicologico. Si tratta di una situazione
rischiosa in cui, se non si evita che gli extracomunitari
vengano emarginati e abbandonati a se stessi, possono maturare
incomprensioni e atteggiamenti di frustrazione.
Ed è proprio in questo contesto che va valutata la presenza e il
diffondersi di centri musulmani nelle nostre città. Di fronte a
questo stato di disorientamento l'islam diventa per molti
giovani immigrati l'unico punto di riferimento chiaro sia a
livello culturale che religioso. Per la frustrazione,
determinata dall'impatto con un tipo nuovo di mentalità, la
religione musulmana rappresenta una facile occasione di
identificazione e di forte coesione.
MENTALITÀ DEI GIOVANI OCCIDENTALI
Può essere interessante esaminare i dati del sondaggio
effettuato recentemente in Francia dalla Bayard Presse Jeune e
dal <<Movimento eucaristico giovanile>> mediante un campione
rappresentativo di 704 giovani tra i 12 e i 15 anni.
Il quadro che emerge da questa indagine è quello di un mondo
adolescenziale che rigetta tutto ciò che è istituzionale. Solo
per il 20% di questi ragazzi la religione che professano è
considerata più vera delle altre. Quasi la metà del campione
prescelto (49%) è convinto che basta volersi bene per avere una
relazione sessuale mentre solo il 57% riconosce l'esistenza di
Dio come sicura o almeno probabile. Infine il valore prioritario
è identificato nell'amicizia che questi giovani instaurano fra
loro.
Un sondaggio simile di Famiglia Cristiana condotto nel 1985
presenta dati più confortanti: in Italia circa l'80% del
campione si dichiara credente in Dio.
Pur considerando questi dati semplicemente come espressione di
una tendenza, non si può non constatare come essi rispecchino
atteggiamenti e mentalità diametralmente opposti rispetto al
mondo, molto più legato alla tradizione, che caratterizza i
paesi denominati del terzo e quarto mondo.
CENTRI ISLAMICI
Ma a prescindere dalle difficoltà di carattere religioso, il
primo approccio degli immigrati con la nostra società genera
disorientamento, che si aggrava, come abbiamo detto, nei casi in
cui il giovane extracomunitario viene lasciato a se stesso fino
a sfociare in una reazione di rigetto contro tutto ciò che
riguarda il mondo occidentale.
Si spiega così la ragione per cui i musulmani trovano il loro
naturale rifugio nel Corano, che è la fonte delle leggi della
loro società, e in tutte quelle istituzioni che in Italia lo
rappresentano.
Qui gli immigrati incontrano una posizione culturale decisamente
opposta rispetto al relativismo dilagante fra i giovani
occidentali. Possiamo prendere ad esempio un ciclostilato
distribuito dal centro islamico di viale Jenner a Milano agli
inizi del 1990. In questo breve testo, scritto in arabo, viene
sottolineata la superiorità della religione musulmana rispetto a
tutte le altre. L'islam viene presentato come l'unica fede
gradita agli occhi di Dio: chi non la professa è destinato a
essere perdente nel giorno del giudizio. A ciò si aggiunge
l'invito rivolto a tutti gli immigrati a diffidare dei centri
religiosi cristiani, accusati di avere come unico scopo di
azione quello di scambiare il pane con la conversione al
cristianesimo. Pertanto i giovani musulmani vengono richiamati a
non barattare la loro fede con il pane dei cristiani.
Inoltre circolano in Italia clandestinamente prediche registrate
su cassette che sviluppano concetti al limite del vilipendio. Le
pubblicazioni in italiano di un altro centro religioso islamico,
sempre di Milano, proseguono sullo stesso tono e intervengono su
problemi di politica interna ed estera esaltando con linguaggio
da guerra santa la conquista dei territori degli infedeli.
Alcuni centri sociali comunali, spinti da spirito di accoglienza
e di generosità, hanno concesso a un centro islamico di Milano
l'utilizzo della biblioteca e della sala comune a scopo
culturale e religioso. Ma la biblioteca viene di fatto gestita
esclusivamente in chiave islamica cioè anticristiana, con libri
e scritti pubblicati in arabo che inneggiano all'islam in aperta
contrapposizione alla società nella quale dovrebbero integrarsi.
Un'ospitalità, mal ricambiata e non compresa nel suo scopo di
servizio gratuito, provoca un atteggiamento di rifiuto o di
sospetto che non aiuta coloro che professano l'islam a inserirsi
nella nostra società.
Un fatto questo che ci è confermato anche da Tahar Ben Jalloun,
uno dei maggiori scrittori del Marocco, che scrive: <<L'Europa è
inquieta, inquieta per l'evoluzione delle tesi islamiche negli
ambienti di quei lavoratori immigrati da molto tempo fra i suoi
confini. Riconosce inoltre che spesso l'islam è utilizzato come
ideologia politica e totalitaria da parte di una minoranza
decisa a tutto pur di acquisire potere. Nel corso della storia
sono frequenti gli esempi di gruppi estremisti che hanno optato
per il linguaggio della strada, linguaggio spettacolare perché
basato su una dimostrazione di forza e un appello alla
violenza>>(3).
A questo si aggiunga che i leader islamici considerano con
favore l'emigrazione dei giovani in Occidente perché vedono
questi giovani come pedine dell'espansione islamica in Europa,
considerata terra di missione. Infatti, attraverso la
conclusione di matrimoni misti, cioè con donne cristiane che
diventano (o sono costrette a diventare) musulmane, realizzano
l'islamizzazione della famiglia europea.
Eppure i centri islamici, oltre al compito religioso, potrebbero
svolgere un ruolo fondamentale per migliorare l'integrazione nel
paese di adozione a beneficio sia dell'immigrato sia della
società ospite.
Tanto più che le convergenze tra islam e cristianesimo sono
numerose, i seguaci delle due religioni credono nell'unico Dio,
nella risurrezione, nel giudizio universale, nel paradiso e
nell'inferno e il Corano non presenta alcuna giustificazione per
l'ostilità e la violenza.
E' utopia o speranza allora vedere centri religiosi, riuniti
insieme in nome della fede, risolvere i problemi legati
all'inserimento dell'immigrato nella società?
PAROLE DEL
CARDINALE MARTINI
Sui problemi culturali creati dalla recente presenza di seguaci
della fede musulmana nel nostro mondo occidentale, ha richiamato
l'attenzione anche l'arcivescovo di Milano, cardinale Carlo
Maria Martini, nell'omelia <<Noi e l'islam>> tenuta il 6
dicembre 1990, nella festa di sant'Ambrogio, patrono di Milano.
Si è trattato di un intervento che, oltre a guardare ai valori
della fede islamica e dare precise indicazioni alle comunità
cristiane per quel che riguarda l'accoglienza, non ha esitato a
considerare con estremo realismo alcuni nodi problematici che
oggi ostacolano un rapporto più fraterno con i musulmani.
Sotto questo profilo, il cardinale Martini ha ricordato la
situazione delle comunità cristiane nei paesi a maggioranza
musulmana, dicendo: <<Noi auspichiamo rapporti di uguaglianza e
di fraternità e perciò insistiamo e insisteremo perché a tali
rapporti si conformi anche il diritto e il costume vigente nei
paesi musulmani riguardo ai cristiani, perché si abbia una
giusta reciprocità>>.
Ha ricordato come la ricerca di un obiettivo comune di rispetto
e di mutua accettazione richieda che venga sfatato il
pregiudizio, fortemente radicato nell'islam, secondo cui i non
musulmani sarebbero di fatto non credenti.
L'arcivescovo ha poi sottolineato la necessità di far
comprendere alle comunità musulmane che in Europa i rapporti tra
stato e organizzazioni religiose sono profondamente diversi
rispetto a quelli dei loro paesi di origine: <<Se le minoranze
religiose hanno fra noi quelle libertà e diritti che spettano a
tutti i cittadini, senza eccezione, non ci si può invece
appellare, ad esempio, ai principi della legge islamica per
esigere spazi e prerogative giuridiche specifiche>>.
Il cardinale non ha mancato infine di mettere l'accento sui
valori della fede nell'islam: <<Si tratta di una fede che avendo
grandi valori religiosi e morali ha certamente aiutato centinaia
di milioni di uomini a rendere a Dio un culto onesto e sincero e
insieme a praticare la giustizia... In un mondo occidentale che
perde il senso dei valori assoluti e non riesce più in
particolare ad agganciarli a un Dio Signore di tutto, la
testimonianza del primato di Dio su ogni cosa e della sua
esigenza di giustizia ci fa comprendere i valori storici che
l'islam ha portato con sé e che ancora può testimoniare nella
nostra società>>.
Siamo partiti in questo capitolo dalla complessità del fenomeno
immigratorio, troppo spesso semplificato dai mass media. Ci
siamo poi soffermati sul caso più diffuso del giovane immigrato
musulmano proveniente dal Nord Africa, esaminandone i problemi
di inserimento culturale nella società occidentale e
confrontandone la mentalità con quella dei giovani occidentali.
Abbiamo poi accennato agli atteggiamenti assunti dai centri che
si dichiarano rappresentanti della religione islamica a Milano.
Da tutto ciò è emersa l'urgenza di perseguire un'autentica
integrazione fra orizzonti così diversi. Ma attraverso quali
strumenti è possibile far fronte a questa ormai inderogabile
necessità? E' la domanda cui cercheremo di dare risposta.
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