LIBERTA' RELIGIOSA E DIRITTI DELL'UOMO
NELL'ISLAM
Ed. La Scuola
- 12-1996
1. Libertà Religiosa
Il concetto di libertà religiosa, a differenza di quello di tolleranza,
implica uguaglianza di diritti per ciascun cittadino." Ogni
trattamento discriminatorio motivato dalle diverse convinzioni religiose,
viola i diritti umani. La posizione del cittadino di fronte alla legge non
deve essere privilegiata dall'appartenenza ad una specifica confessione
religiosa".(7)
Il riconoscimento dei diritti dell'uomo è acquisizione recente nella Chiesa
Cattolica . I rilievi espressi a questo proposito da papa Pio IX sono
culminati nel documento Syllabus
Errorum del secolo scorso. Ma si é dovuto aspettare il
Vaticano II per una formulazione universale sull'argomento.
Da parte islamica, come vedremo più avanti, la religione predomina ancora
sui diritti dei cittadini, anche se qualche debole voce si leva per una
separazione tra fede e diritto. I documenti islamici che contengono
dichiarazioni di uguaglianza e di libertà pongono pesanti limiti e
discriminazioni per chi non è musulmano. Va tenuto presente ancora che il
mondo islamico non è affatto monolitico; anzi, ha al suo interno una grande
varietà di posizioni: dalla minoranza fondamentalista (Salafeya)
a quella che reclama più libertà e maggiore accoglienza del mondo moderno.
Nel mezzo c'è un vasto spectrum di musulmani
"ortodossi". Di conseguenza, l'applicazione da parte dei
tribunali delle enunciazioni contenute nelle costituzioni e nei trattati
internazionali sottoscritti dai rispettivi governi é tutt'altro che
uniforme.
2. Attualità europea
I problemi relativi alla libertà religiosa in Europa sono portati alla
ribalta dall'arrivo degli immigrati musulmani: alla loro soluzione non
possono rimanere estranei i paesi di origine. Lo studio di una legislazione
che garantisca gli immigrati in Europa va accompagnata da misure in favore
dei diritti umani anche nelle nazioni di provenienza, dove la
discriminazione religiosa è una realtà. Ad esempio: la donna è normalmente
in posizione d'inferiorità di fronte alla legge ,soprattutto nel diritto
matrimoniale; la scelta di una diversa appartenenza religiosa comporta pene
detentive e la perdita dei diritti civili; la preclusione da alcune cariche
pubbliche e dall'insegnamento di alcune materie. Anche solo la normale
manutenzione agli edifici di culto non islamici comporta una serie infinita
di problemi. E' giusto tutelare i diritti degli immigrati con una
legislazione adeguata, pretendendo perché che si uniformino alle leggi del
Paese ospitante. Va sollecitata anche la reciprocità da parte dei
rispettivi governi, in modo che garantiscano diritti umani e liberta
religiosa per tutti.
Una pacifica convivenza chiede che i responsabili di ciascun paese abbandonino
demagogia e rivalse per definire una politica che garantisca pari
opportunità a tutti i cittadini . In questo modo si potrebbero diffondere i
valori della libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti umani in
culture tradizionalmente distanti dall'attenzione alla persona come
soggetto di diritto. Operativamente, convenzioni e trattati bilaterali
possono contribuire a stabilire la pari dignità e opportunità tra cittadini
di diversi paesi, cancellando discriminazioni tra minoranza e maggioranza.
3. Sharia e diritti umani
Per i musulmani la legge,
Shari'a, rappresenta
"la totalità degli ordinamenti estratti dal Corano e dalla Sunna e da
ogni altra legge dedotta da queste due fonti mediante metodi ritenuti
validi nella giurisprudenza islamica. La Sunna o hadith,
è la raccolta di ciò che Muhammad ha detto , fatto o accettato; il suo
esempio di vita".(1)
Agli occhi dei musulmani, l'islam è la religione perfetta, la sola vera,
incarnata in una comunità (umma) (8) con il suo
capo, la sua fede e le sue leggi. Il tutto é reso sacro dalla rivelazione
coranica. I primi secoli dell'islam restano un modello di ordinamento
statale a cui guardano con nostalgia i musulmani fondamentalisti. La
religione è considerata inseparabile dal sistema di organizzazione statale.
Non c'é separazione tra sfera spirituale e sfera temporale.
La
shari'a è dunque il prodotto della
comprensione umana delle fonti dell'islam nel contesto storico compreso tra
il VII e il IX secolo d.C. In questo lasso di tempo i giuristi musulmani
interpretarono il Corano e le altre fonti con lo scopo di stabilire una
legislazione generale che potesse servire in ogni angolo del vasto impero
sottoposto all'Islam. Lo sforzo di interpretazione (ightihad)
venne interrotto, e lo è tuttora, per paura di abusi. Il volere di Dio e di
Muhammad diventavano spesso uno strumento per mantenere il controllo
sull'impero. L'applicazione della shari'a oggi si
rifà ancora, in molti paesi, ai canoni codificati dalla giurisprudenza
islamica di dieci secoli fa e applicati dalle quattro scuole giuridiche.
Va detto che nei primi secoli dell'islam la shari'a
poteva essere considerata un miglioramento per quelle minoranze che erano
state sottratte alla dominazione di Bisanzio e della Persia,
dove la discriminazione religiosa era forte.
L'avvento dell'Islam ha migliorato le condizioni di vita della donna che
subiva, prima del VII secolo, condizioni di grave subordinazione. Col
passare dei secoli, perché, il suo ruolo è stato ridimensionato.
La donna si trova svantaggiata rispetto all'uomo di fronte alla legge
specialmente per quanto riguarda il diritto matrimoniale e le norme di
successione. E' vero comunque che la poligamia, ammessa dalla
shari'a, sta entrando in disuso per la crescente
difficoltà di mantenere quattro mogli. Alcuni stati, come la Tunisia, hanno
introdotto leggi che la vietano. Il diritto unilaterale di ripudio da parte
dell'uomo è limitato dalle recenti legislazioni, anche se non completamente
cancellato. Il fondamentalismo islamico, là dove è diffuso, compresa
l'Europa, impone a volte che la donna si copra il volto come segno di
sottomissione . Nonostante il Corano non lo richieda in modo specifico , il
velo è stato in qualche caso elevato a simbolo visibile di una vera società
islamica. (4).
Secondo quanto riportato dal settimanale del Gruppo Editoriale Al-
Ahram del 1 dicembre 1994 pp. 16, la corte
costituzionale egiziana ha negato il diritto ad una donna di ottenere il
divorzio nel caso che il marito prenda un'altra moglie. La sentenza precisa
che il fatto non reca danno per la prima moglie e non costituisce un causa
valida per il divorzio. D'altro canto, la dottoressa Zenaib
Radwan, docente di filosofia islamica presso
l'Università del Cairo, sostiene che la poligamia è accettabile alla luce
della legge coranica, ma non altrettanto il rifiuto di concedere il
divorzio alla donna. Sostiene che la shari'a è
una linea guida e il Corano e i hadith non vanno
presi alla lettera, ma interpretati tenendo conto delle evoluzioni
storiche. Dalla pretesa di considerare la legge coranica come un corpus
immutabile nascerebbero, secondo la docente, degenerazioni che non sono in
sintonia con lo spirito originario della shari'a,
anzi farebbero perdere le virtù e i valori spirituali del messaggio
coranico.
Su pressione dei gruppi femministi, in Egitto è stata avanzata in
Parlamento nel 1995 una proposta di legge che prevede la possibilità di
stipulare un contratto tra i futuri coniugi con il quale, per iscritto, il
marito si impegna a garantire alla donna il diritto al lavoro, all'istruzione,
agli spostamenti e ai viaggi, al divorzio incondizionato, oltre a tutti i
diritti che potrà esercitare senza che sia necessario il consenso del
marito. La proposta di legge è stata formulata dalla Conferenza Nazionale
per le donne tenuta nel giugno 1994 sotto la presidenza nientemeno di
Susanna Mubarak, moglie del Presidente egiziano.
La
shar'ia ha forgiato
la mentalità e la condotta dei popoli islamici, in relazione alla questione
dei diritti umani e della libertà religiosa. Un esempio è quello degli
abusi compiuti sulle donne in nome della legge divina secondo la quale si
giustificherebbe l'usanza antichissima e crudele dell'escissione dei
genitali femminili non appena si raggiunge la pubertà. (2)
I giuristi musulmani sono discordi nell'attribuire questa pratica ad un
dovere religioso o piuttosto ad un'antica tradizione incorporata nei
precetti della shari'a. In occasione della
Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo
(settembre 1994),
Gad El-Haq
Ali Gad El-Haq, rettore
della prestigiosa università islamica Al Azhar
del Cairo, si dice favorevole all'escissione che farebbe "onore alle
donne che la praticano", e cita alcuni detti di Muhammad ed il
pensiero di un teologo medioevale che sosteneva che "i musulmani
debbono prendere le armi contro le nazioni che abbandonano questa
pratica". Gli risponde Sayed
Tantawi, Gran Mufti (capo
supremo religioso) d'Egitto, che nega ogni riferimento a Muhammad,
lasciando ogni decisione in merito ai medici. In Egitto si contano circa
mille interventi di questo tipo al giorno.(3)
Poiché l'islam non riconosce una suprema autorità religiosa, l'applicazione
della legge religiosa risente di interpretazioni spesso in contraddizione
tra loro, e risulta difficile affermare in modo categorico quale sia
l'applicazione corretta dei dettami dell'Islam.
Possiamo dunque ribadire che all'interno dell'Islam non esiste una voce
univoca e un capo supremo che legiferi in nome di tutti. Di qui la
difficoltà a trovare un interlocutore che rappresenti i musulmani. Quella
di un'autorità centrale é un'esigenza molto sentita nel mondo
musulmano, tanto che se ne è discusso anche nella riunione dei capi di stato
dei paesi islamici che si é tenuta a Casablanca (Marocco) nel dicembre
1994. In questa occasione si è discusso anche della posizione dell'islam di
fronte alle sfide della modernità.
Uno dei problemi di fronte ai quali si trovano gli uomini chiamati ad
applicare la shari'a in nome di Dio è come poter
conoscere la sua volontà, esponendosi ad accuse di eresia da parte dei
fondamentalisti, che affermano che essi non si uniformano alla volontà
divina, con tutte le conseguenze legali che ne derivano.
Citiamo, al riguardo, un intervento di Hussein
Kouatly,
direttore di Dar al-Fetwa, la massima istituzione
religiosa islamica in Libano: "I cittadini musulmani hanno il dovere
di appoggiare l'autorità islamica; nel caso questa non applichi la legge
islamica, debbono adoperarsi per abolirla e dichiarare la guerra santa
(Jihad) sino alla presa del potere. Nel caso fossero in situazione di minoranza,
i musulmani possono accettare formule di compromesso continuando a lavorare
con tutti i mezzi per ottenere il potere al momento opportuno". ( Le
Reveil, 18.7.1978 ).
Nonostante diverse voci si levino con insistenza a reclamare una
più moderna applicazione della legge coranica, le
punizioni corporali sono tuttora praticate in Sudan, Arabia, Iran e
Pakistan. Esse prevedono, tra l'altro, il taglio della mano, la
fustigazione pubblica, la lapidazione e l'impiccagione. I trattamenti
discriminatori verso i dhimmi (ciò i non
musulmani appartenenti alle religioni del libro) hanno il loro fondamento
nella shari'a, ma la loro attuazione dipende dal
tempo e dal luogo.
4. Non musulmani: un mondo a parte
La libertà religiosa dei non musulmani è uno dei nodi più delicati del
diritto islamico. Secondo la dottrina tradizionale, i non musulmani devono
osservare precise condizioni per potere convivere all'interno del Dar
el Islam, cioè il mondo islamico.
Il concetto di tolleranza nell'Islam delle origini era molto simile a
quello cristiano dello stesso periodo. Non avendo subito il diritto
islamico nessun tipo di evoluzione, anche il concetto di tolleranza
religiosa all'interno dell'ordinamento musulmano è fermo a secoli fa.
Ebrei, cristiani e zoroastriani, i cosiddetti" popoli del libro",
erano considerati "protetti" e come tali godevano di una certa
autonomia all'interno di un ordinamento legislativo che discriminava
pesantemente i non musulmani. I principali vincoli riguardavano l'abbigliamento,
il versamento di tasse speciali per garantirsi dalla confisca dei beni e
per assicurarsi la permanenza sulla terra, l'accesso agli incarichi
pubblici, la testimonianza in giudizio contro un musulmano, l'interdizione
al servizio militare, la regolamentazione del culto religioso (che doveva
essere discreto), il divieto di edificazione di templi e chiese, la
proibizione di esporre in pubblico croci o altri segni di culto. (5)
Sono dunque molti gli anacronismi in cui cade la legislazione islamica. Per
esempio, quando all'interno di una coppia che ha contratto matrimonio
cristiano uno dei due coniugi si converte all'Islam, i figli minorenni
diventano automaticamente musulmani, in quanto la shari'a
affida l'educazione dei figli alla religione ritenuta perfetta.
5. Diritto internazionale e
Shari'a
Da un confronto tra la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo
(approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948) e la
shari'a possiamo trarre ulteriori elementi di
riflessione circa la libertà religiosa e i diritti umani nell'islam. (6)
Recita l'articolo 1: "Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali
in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono
agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza".
Il diritto islamico stabilisce una differenza categorica tra le prerogative
dei musulmani e quelle dei dhimmi , considerati
cittadini di serie inferiore. Lo spirito di fratellanza richiamato dalla
Dichiarazione Universale nel mondo islamico vale solo per i musulmani, e
non è estensibile ai non musulmani.
"Ad ogni individuo - afferma l'articolo 2 - spettano tutti i diritti e
tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione
alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione,
di opinione politica o di altro genere, d origine nazionale o sociale, di
ricchezza, di nascita o di altra condizione".
Per la
shari'a l'unico detentore di questi
diritti è il musulmano di sesso maschile. La donna è in una posizione
subordinata.
Gli articoli 4 e 5 riguardano la schiavitù e la tortura ("Nessun
individuo può essere sottoposto a tortura o a trattamento o punizione
crudeli, inumani o degradanti", art. 5).
Come si può conciliare questa enunciazione con le pratiche
dell'amputazione, della lapidazione e della fustigazione largamente in
vigore nei paesi islamici di stretta osservanza (Pakistan, Arabia saudita,
Iran, Sudan) ?.
Gli articoli 6 e 7 riconoscono ad ogni uomo l'uguaglianza di fronte alla
legge e il sacrosanto diritto di equa tutela. "Ogni individuo ha diritto,
in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica",
sostiene l'articolo 6. Ed il 7: "Tutti sono uguali dinanzi alla legge
e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da
parte della legge. (...)".
Anche a questo proposito le differenze con il diritto islamico sono
sostanziali, basti pensare alle differenze tra musulmani e non musulmani,
al diritto di famiglia, ai diritti della persona, al valore della
testimonianza in giudizio.
A proposito del diritto matrimoniale, prendiamo l'articolo 16: "Uomini
e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una
famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi
hanno uguali diritti e doveri riguardo al matrimonio, durante il matrimonio
e all'atto del suo scioglimento. (...)".
Nell'I slam non è consentito ad una donna musulmana di sposare un uomo di
religione diversa, a meno che questi non si converta. Nei matrimoni misti,
quando il coniuge maschio è musulmano, i figli diventano automaticamente
musulmani, senza possibilità di scelta. L'iscrizione nei registri dello
stato è automatica e senza possibilità di revoca. L'uomo ha la possibilità
di ripudiare la donna, la quale per il diritto vale "la metà": la
sua testimonianza in tribunale non ha lo stesso valore di quella dell'uomo
(non può deporre in cause penali di una certa delicatezza); nelle norme di
successione alla donna spetta una quota di eredità dimezzata rispetto a
quella dell'uomo. Secondo la shari'a nessuna
donna può ricoprire un incarico pubblico che preveda autorità sugli uomini.
Un uomo può avere fino a quattro mogli ed ottenere con facilità il ripudio;
la donna può avere un solo marito alla volta e difficilmente ottenere il
divorzio.
In flagrante contraddizione con l'articolo 16 della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo, gran parte delle costituzioni dei paesi
islamici, con eccezione di Turchia e Tunisia, vietano ad un cristiano o ad
un ebreo di sposare una donna musulmana. E' inoltre proibito per una donna
sposare un cittadino appartenente ad una religione non riconosciuta
legalmente. La conversione dall'Islam ad un'altra religione n non è
possibile ed è ma è perseguibile penalmente come crimine contro la società.
Le conseguenze vanno dall'annullamento del matrimonio già contratto, alla
privazione della custodia dei figli, all'interdizione ad ereditare,
alla" morte civile". In Iran, Arabia Saudita e Sudan si rischia
la pena capitale, come é toccato all'intellettuale sudanese Mahmoud Mohamed
Taha il 18 gennaio 1985 e a Hossein
Soodmand in Iran il 13 dicembre 1990.
Nell'articolo 18 vengono prese in esame la libertà di pensiero, coscienza e
religione: "Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di
coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare
religione o fede, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, in
pubblico e in privato, la propria religione o il proprio credo
nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei
riti".
Per un musulmano, passare ad un'altra religione significa la" morte
civile" ed in qualche caso addirittura l'impiccagione. Il convertito
perde i figli, la famigli, i beni. Ed inoltre espone la comunità religiosa
che lo accoglie a ritorsioni. In pratica è costretto ad emigrare e a prendere
la cittadinanza di un paese non ancora toccato dal jihad che mira ad
estendere la legge islamica in tutto il mondo. Anche la libertà
d'espressione è fortemente limitata.
Un progetto di legge in Egitto prevedeva la pena di morte per l'apostato, è
stato bloccato in extremis dal presidente Sadat. Il sig. Ali
Mahgoub, Presidente della commissione parlamentare per
gli affari religiosi nel 1994, chiede i lavori forzati a vita per la più
grande offesa contro l'islam, l'apostasia.
A proposito della partecipazione al governo della cosa pubblica, l'articolo
21 della Dichiarazione Universale afferma, al punto 1: "Ogni individuo
ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente
che attraverso rappresentanti liberamente scelti". E al comma
successivo: "Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di
uguaglianza alle cariche pubbliche del proprio paese". Ed ancora:
"La volontà del popolo è il fondamento del governo; tale volontà deve
essere espressa attraverso periodiche e vere elezioni, effettuate con
suffragio universale ed uguale, con voto segreto, o secondo una procedura
equivalente di libera votazione".
6. I diritti della persona secondo le istituzioni islamiche
Autorevoli organismi islamici hanno tentato di emanare proprie
dichiarazioni universali in materia di diritti umani e libertà religiosa.
Malgrado ciò, i musulmani nel loro insieme nel mondo non si sentono
obbligati da questi Documenti, per mancanza di una autorità unica. Va detto
perché che sono comunque un passo avanti, perché tentano di armonizzare
shari'a con la concezione moderna dei diritti
umani.(11)
Un gruppo di giuristi e dotti musulmani ha redatto un documento, intitolato
"Dichiarazione islamica universale dei diritti dell'uomo",
emanato dal Consiglio Islamico d'Europa e proclamato solennemente a Parigi
presso la sede dell'UNESCO il 19 settembre 1981. Contiene 23 articoli sui
diritti e le libertà fondamentali alla luce della dottrina coranica e della
tradizione giuridica musulmana. Questo testo, espressione di una visione aperta
dell'Islam, oltre a recepire i principi della Dichiarazione Universale
promulgata dalle Nazioni Unite, richiama le speciali responsabilità dei
credenti riguardo la libertà e la giustizia ed in materia di libertà
religiosa.
Tutte le affermazioni giuridiche hanno per come fondamento la
shari'a e vanno interpretate alla luce degli
ordinamenti islamici. Vi si dichiara specificamente che governanti e
governati sono sottoposti alla legge coranica e sono uguali davanti ad
essa; ogni potere terreno va esercitato nei suoi limiti e deve tendere ad
affermare l'Islam ovunque. Nonostante la limitatezza del concetto di
uguaglianza e libertà religiosa, si tratta comunque di un passo avanti in
materia di diritti umani all'interno del mondo islamico.
Nel 1990, al Cairo, é stata promulgata dall'Organizzazione della Conferenza
Islamica una "Dichiarazione sui diritti umani nell'islam" dove
perché si nega specificamente la possibilità di un individuo di passare
dalla religione musulmana ad un'altra confessione. La Dichiarazione del
Cairo affida allo stato la custodia della religione, negando all'individuo
la libertà di coscienza.
7. Ordinamenti di costituzioni islamiche
La diversità degli ordinamenti costituzionali non ci consente di trarre
delle conclusioni unanimi per tutti gli Stati; si può comunque affermare
che il concetto di tolleranza, con restrizioni e discriminazioni verso i
non musulmani, permane nelle costituzioni di vari stati islamici. La
maggior parte de gli ordinamenti costituzionali prevede l'uguaglianza fra i
cittadini e le libertà religiosa, fermo restando il fatto che la
shari'a rimane la fonte ispiratrice della legge; la
posizione di capo dello stato, in questa logica, è riservata ad un
musulmano; le minoranze riconosciute godono di una rappresentanza in parlamento.
La costituzione della Repubblica dell'Iran, per esempio, proclama l'Islam
sciita religione di Stato. L'articolo 13 garantisce certe autonomie a
specifiche minoranze: ebrei, cristiani e zoroastriani. Sono escluse da
questi privilegi le religioni che non sono riconosciute legalmente. La
shari'a è comunque il principio ispiratore della legge
dello stato e le discriminazioni a danno dei dhimmi
permangono tutt'ora.
In seno al Consiglio Islamico d'Europa, nel 1983, è stato elaborato un
Modello di Costituzione Islamica che riprende i capisaldi della legge
coranica, ribadendo la guerra santa come strumento di difesa
dell'ordinamento islamico e di affermazione della vera religione nei
territori non ancora conquistati.
8. Tentativi di evoluzione
Varie voci si sono levate ultimamente per cercare di interpretare le leggi
coraniche alla luce del diritto moderno. Citiamo ad esempio Roger
Garaudy, un francese convertito all'Islam, il sudanese
Abdullah Ahmed El Naim,
il defunto Ministro dell' Istruzione egiziano Taha
Hussein, Naguib Mahfouz,
premio Nobel. Insieme a loro tanti altri esponenti di prestigio della
cultura musulmana propongono revisioni e cambiamenti.
Questi intellettuali propongono di leggere il Corano con gli occhi del
Ventesimo secolo, depurandolo dal letteralismo propugnato dai
fondamentalisti. Sostengono che la sharia conterrebbe una vera inflazione
di hadith, cioè di norme derivate da presunti
detti di Muhammad. Secondo loro sarebbero state introdotte dai primi
califfi per dare forma di sacralità al proprio governo. Secondo loro, le
violazioni dei diritti umani nell'islam contemporaneo non deriverebbero dal
messaggio religioso in sé, quanto da una serie di perversioni e
contaminazioni entrate nel corpus giuridico attraverso tradizioni particolari
sviluppatesi nel Vicino Oriente e in Arabia.
Gli atteggiamenti da rivedere, secondo loro, sono sostanzialmente questi:
1) la chiusura sul passato, con l'irrigidimento nell'interpretazione del
Corano e la proibizione di una nuova esegesi che, pur non travisando i
principi, possa essere più aderente ai tempi;
2) l'atteggiamento discriminatorio verso le altre religioni per il solo
fatto di considerare l'islam l'unica e la vera religione, ignorando il loro
messaggio e negando che ci siano altre vie che portano a Dio;
3) il legalismo che priva l'islam della sua dimensione di interiorità e di
amore, ed ha provocato l'ostracismo e la persecuzione del sufismo da parte
delle comunità sunnite;
4) l'impossibilità di espressione religiosa nei paesi islamici, dove chi
esprime pubblicamente opinioni in contrasto con quella musulmana rischia
pene severe, quando non il linciaggio;
5) la critica all'occidente per l'asilo offerto ai musulmani estremisti
oggetto di repressione nel loro paese.
Vi è poi il nodo della comunicazione e della libera circolazione delle
idee, in modo che ogni uomo posa maturare delle opinioni sue proprie.
Secondo questi musulmani modernisti è possibile rivedere la sharia in modo
che risponda ai bisogni del mondo contemporaneo senza perdere l'originalità
del messaggio religioso dell'islam. L'errore dei fondamentalisti sta nel
volere applicare oggi norme e concetti vecchi di mille anni, nati in
circostanze storiche completamente diverse.
Per quanto riguarda i diritti del uomo restano molti passi da fare, come
quello della possibilità di scegliere liberamente la sua religione anche
con l’abbandono dell’islam senza incorre in ricatti e rischi di venire
trucidati, la possibilità per una donna musulmana di sposare un uomo di
altra religione, la possibilità di accedere alle più alte funzioni
pubbliche a prescindere della religione di appartenenza. Resta auspicabile
uno sforzo di comunicazione e di libera informazione e di dibattiti
televisivi e altri media per creare una libera circolazione di idee, e che
ogni uomo possa maturare liberamente le sue scelte fondamentali di vita.
Sempre secondo i modernisti , è necessario dare vita ad una
shari'a islamica che risponda ai bisogni del mondo
contemporaneo pur senza discutere i capi saldi della fede e dei valori
umani che ogni religione cerca di valorizzare. L’errore delle correnti
fondamentaliste e dei difensori del ritorno all’antico (salafiyin)
è nel ‘insistere voler applicare al mondo d'oggi sistemi e concetti
codificati nel X secolo. Secondo Abdullahi Ahmed
An-Naim, professore di giurisprudenza all'università di
Khartum, (Sudan) "I primi musulmani hanno
interpretato le fonti divine alla luce del contesto storico in cui vivevano
al fine di creare un sistema coerente e praticabile, che conseguì
miglioramenti significativi sul piano dei diritti umani nei confronti dei
sistemi precedenti e contemporanei. E' diritto e responsabilità dei
musulmani oggi fare la stessa cosa, per dare vita a una shari'a
islamica moderna, destinata al contesto attuale radicalmente mutato. Se non
lo facessero, tradirebbero in maniera radicale la loro fede, frustrando
totalmente il fine divino. Nel loro contesto storico essa rappresentava un
miglioramento rispetto ai sistemi vigenti a quell'epoca"(12).
Il premio Nobel egiziano
Naguib Mahfouz, insieme ad altri cento intellettuali e
politici, ha dato vita nell'agosto 1992 ad un'associazione per consolidare
l'unità nazionale in seguito alla violenza religiosa che si è scatenata
contro i copti. Il presidente fondatore è Ibrahim Nafie,
Presidente del Gruppo Editoriale Al-Ahram.
L'obiettivo principale che l'associazione si prefigge è quello di
combattere il fondamentalismo religioso e di favorire l'uguaglianza tra
tutti i cittadini, sia musulmani sia cristiani. Secondo il portavoce
dell'associazione, la violenza religiosa è iniziata in Egitto quando Nasser
è ricorso all'Islam per consolidare il suo potere nel paese e nel mondo
arabo. I gruppi fondamentalisti hanno poi usato la religione per
impadronirsi del potere politico, che rappresenta il loro vero obiettivo.
Un illustre professore d'islamistica, Ahmed Kamal
Abul-Magd, ex-ministro egiziano dell'Informazione
, ha invitato i teologi islamici a ripensare lo spirito del messaggio
coranico alla luce delle sfide del mondo contemporaneo, correggendo
l'immagine distorta che i musulmani danno oggi della loro religione. Questo
problema è talmente sentito dalle massime autorità civili che al
quindicesimo summit dei sei paesi del Golfo (Gulf
Cooperation Council)
tenutosi nel Bahrein nel dicembre 1994, è stata approvata la proposta dell'
Oman di "abbandonare l'estremismo e il fanatismo religioso che
distorcono l'immagine di tolleranza della shari'a
la quale promuove la non-violenza e la convivenza con tutte le
religioni".
9. Verso quale futuro?
Quali saranno le norme che garantiranno domani musulmani e non musulmani
che vivono nei territori islamici?
Sarà possibile per un non musulmano essere pienamente cittadino in uno
stato in cui l'islam è religione ufficiale?
Come regolare i rapporti tra stato islamico e comunità internazionale,
modellata sui principi pluralisti?
La shari'a è attualmente il criterio ispiratore
delle carte costituzionali dei paesi islamici. Potranno mai i musulmani
concepire un ordinamento statale democratico che garantisca la libertà di
religione e di culto per tutti i cittadini, uguali davanti alla legge,
indipendentemente dalla religione o dalla ideologia?
Alcuni ricercatori musulmani sono propensi ad affermare che la fede
islamica non solo è riconciliabile ai diritti umani ma può contribuire alla
loro promozione con la riscoperta del significato originale della
shari'a di guida etica e non considerarla una rigida
codifica di norme legali. (9)
Sono questi alcuni interrogativi a cui bisogna rispondere. Ecco perché per
le religioni monoteiste è giunto il tempo di trovare insieme il modo di
tradurre in pratica le norme etiche comunemente riconosciute. La libertà
religiosa di pensiero e di espressione è la pietra miliare dell'intera
struttura dei diritti umani, come ha affermato Giovanni Paolo II. Le
restrizioni che i cattolici subiscono in molti paesi a maggioranza
musulmana vanno denunciate e condannate. Ricevendo in udienza i vescovi
pakistani in visita a Limina, il papa ha
rivendicato il diritto alla libertà di culto per i credenti di tutte le
fedi.
Giuseppe Samir Eid